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Giurisprudenza e dottrina

Condominio

CONDOMINIO E BONUS 110% – MAGGIORANZE
Negli ultimi giorni hanno cominciato ad “affacciarsi” nei tribunali italiani i primi contenziosi riguardanti le delibere condominiali relative ai cosiddetti lavori per il bonus 110%.
Cerchiamo di capire il perché di tale situazione, al fine di evitare impugnazioni assembleari.
I quorum necessari per le delibere condominiali in materia di “bonus 110%” sono disciplinati del comma 9 bis dell’art. 119 del D.L. n. 34 del 19.05.2020.
Tale norma speciale , derogando la disciplina codicistica, prevede che le decisioni per la realizzazione degli interventi agevolabili con il bonus 110%, possano essere approvati con la maggioranza dei presenti che rappresentino almeno un terzo del valore dell’edificio condominiale (333,34 millesimi).
Pur trattandosi molte volte di “innovazioni” e migliorie anche molto consistenti e gravose, sembrerebbe possano essere quindi approvate con dei quorum deliberativi estremamente “ridotti”.
A prima vista , quindi , si potrebbe affermare che sia molto semplice approvare i predetti lavori essendo necessaria una maggioranza “ molto risicata” , ma in realtà la questione è molto più complessa.
La normativa in materia di ristrutturazioni e di bonus 110% prevede che uno dei requisiti e presupposti necessari per ottenere la predetta agevolazione fiscale sia quello che i lavori che si vogliono realizzare portino ad un miglioramento delle prestazioni del fabbricato pari a ben due classi energetiche : in caso contrario i condomini non potranno accedere al bonus 110%. Nel corso di questi mesi i vari tecnici incaricati dagli amministratori condominiali e dai condomini hanno potuto verificare che, molte volte, per soddisfare tali requisiti/presupposti necessari per ottenere il bonus 110%, siano necessari diversi interventi estremamente “invasivi” nel senso che coinvolgono non solo le parti comuni/condominiali del fabbricato (es : facciate, tetto, etc) ma anche le singole unità immobiliari in proprietà esclusiva (es : caldaie, serramenti, etc).
Ed è proprio in relazione agli interventi da eseguire nelle parti esclusive (singoli appartamenti) che nascono i problemi, in quanto l’assemblea condominiale ha il potere di deliberare a maggioranza solo per interventi che coinvolgono le parti comuni dell’edificio, ma non può in alcun modo decidere a maggioranza in merito a quei particolari interventi che riguardino parti esclusive delle singole unità immobiliari.
Per ovviare a tale problematica , ed evitare quindi eventuali impugnazioni, è pertanto necessario che vi sia il consenso unanime da parte di tutti i condomini interessati dai lavori (ossia di quelli all’interno delle cui unità abitative si dovranno eseguire lavori per il miglioramento delle classi energetiche), pena la nullità della delibera approvativa dei lavori.
IMPUGNAZIONE DELIBERA CONDOMINIALE – CESSAZIONE MATERIA DEL CONTENDERE
Cassazione Civile sezione sesta – Ordinanza n°18186 del 24 giugno 2021
”In tema di impugnazione delle delibere condominiali, la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall’assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall’art. 2377, comma 8, dettato in tema di società di capitali (Cass. Sez. 6 – 2, 08/06/2020, n. 10847; Cass. Sez. 6 – 2, 11/08/2017, n. 20071; Cass. Sez. 2, 10/02/2010, n. 2999; Cass. Sez. 2, 28/06/2004, n. 11961), rimanendo affidata soltanto la pronuncia finale sulle spese ad una valutazione di soccombenza virtuale. La cessazione della materia contendere conseguente alla revoca assembleare della delibera impugnata si verifica anche quando la stessa sia stata sostituita con altra dopo la proposizione dell’impugnazione ex articolo 1137 …. ove, dunque, il giudice rilevi la cessazione della materia del contendere in tema di impugnazione di delibera condominiale, analogamente a quanto disposto dall’articolo 2377, comma 8, la pronuncia finale sulle spese viene regolata sulla base di una valutazione di soccombenza virtuale, sicché il giudice del merito deve espressamente procedere ad un complessivo ed unitario giudizio circa l’originaria fondatezza delle contrapposte domande ed eccezioni proposte dalle parti, al fine di decidere circa la incidenza della potenziale soccombenza sull’onere delle spese”.
CONVOCAZIONE ASSEMBLEA CONDOMINIALE
Cassazione civile, sez. II, sentenza 25/03/2019 n° 8275
Va riaffermato, quale principio di diritto, che in tema di condominio, con riguardo all’avviso di convocazione di assemblea ai sensi dell’art. 66 disp. att. c.c., (nel testo ratione temporis vigente), posto che detto avviso deve qualificarsi quale atto di natura privata (del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall’applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari) e in particolare quale atto unilaterale recettizio ai sensi dell’art. 1335 c.c., al fine di ritenere fornita la prova della decorrenza del termine dilatorio di cinque giorni antecedenti l’adunanza di prima convocazione, condizionante la validità delle deliberazioni, è sufficiente e necessario che il condominio (sottoposto al relativo onere), in applicazione della presunzione dell’art. 1335 c.c., richiamato, dimostri la data di pervenimento dell’avviso all’indirizzo del destinatario, salva la possibilità per questi di provare di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.
Tale momento, ove la convocazione ad assemblea di condominio sia stata inviata mediante lettera raccomandata (cui il testo dell’art. 66 disp. att. c.c., affianca, nel testo successivo alla riforma di cui alla L. 11 dicembre 2012, n. 220, altre modalità partecipative), e questa non sia stata consegnata per l’assenza del condomino (o di altra persona abilitata a riceverla), coincide con il rilascio da parte dell’agente postale del relativo avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, idoneo a consentire il ritiro del piego stesso, e non già con altri momenti successivi (quali il momento in cui la lettera sia stata effettivamente ritirata o in cui venga a compiersi la giacenza).
CONDOMINIO – OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO – SPESE CRITERI – NULLITA’ – ANNULLABILITA’
Cassazione Civile Sezioni Unite – Sentenza n. 9839 del 14 aprie 2021 
Le Sezioni Unite, pronunciando su questione di massima importanza e risolvendo questioni da lungo dibattute in dottrina e giurisprudenza, hanno affermato i seguenti principi di diritto:
– Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità, dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio, della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta in via di azione – mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione in opposizione – ai sensi dell’art. 1137, comma 2, c.c., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione;
– Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, l’eccezione con la quale l’opponente deduca l’annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, senza chiedere una pronuncia di annullamento di tale deliberazione, è inammissibile e tale inammissibilità va rilevata e dichiarata d’ufficio dal giudice.
– In tema di condominio negli edifici, sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell’assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico – dando luogo, in questo secondo caso, ad un “difetto assoluto di attribuzioni” – e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a norme imperative, o all’ordine pubblico, o al buon costume; al di fuori di tali ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l’azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nel termine di cui all’art. 1137 c.c..
– In tema di deliberazioni dell’assemblea condominiale, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135, nn. 2 e 3, c.c. e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie e norme imperative, cosicchè la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.

Separazioni e divorzi

ASSEGNO DI MANTENIMENTO – FUNZIONE
Cass. Civile n. 18287 – 11 luglio 2018 Sezioni Unite
“Ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, dopo le modifiche introdotte con la L. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.
SEPARAZIONE – PENSIONE DI REVERSIBILITA’ – REQUISITI
Cass. Civile Sezione Lavoro , Ordinanza n. 7464 del 15 marzo 2019
“Questa Corte ha già più volte chiarito (cfr., ad es., Cass.19 marzo 2009 n. 6684, n. 4555 del 25 febbraio 2009, n. 15516 del 16 ottobre RG n 22383/2013 2003) che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 286 del 1987 – la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 24 e della L. 18 agosto 1962, n.1357, art. 23, comma 4, nella parte in cui escludono dalla erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato – tale pensione va riconosciuta al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte. In particolare è stato affermato che, dopo la riforma dell’istituto della separazione personale, introdotto dal novellato art. 151 c.c. e la sentenza della Corte Cost. non sia più giustificabile il diniego, al coniuge cui fosse stata addebitata la separazione, di una tutela che assicuri la continuità dei mezzi di sostentamento che il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornirgli.
La motivazione del giudice delle leggi, se conduce ad equiparare con sicurezza la separazione per colpa a quella con addebito, non autorizza l’interprete a ritenere che sia residuata una differenza di trattamento per il coniuge superstite separato in ragione del titolo della separazione. Se è possibile individuare contenuti precettivi ulteriori, essi riguardano esclusivamente il legislatore, autorizzato a disporre che il coniuge separato per colpa o con addebito abbia diritto alla reversibilità ovvero ad una quota, solo nella sussistenza di specifiche condizioni. Invero, nonostante che la Corte costituzionale, nell’occasione indicata, e in altre successive (sent. nn. 1009 del 1988, 450 del 1989, 346 del 1993 e 284 del 1997), abbia giustificato le proprie pronunce anche con considerazioni legate alla necessità di assicurare la continuità dei mezzi di sostentamento che in caso di bisogno il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornire all’altro coniuge separato per colpa o con addebito, il dispositivo della decisione dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della norma esaminata non indica condizioni ulteriori, rispetto a quelle valevoli per il coniuge non separato per colpa, ai fini della fruizione della pensione.
Ad ambedue le situazioni è quindi applicabile la Legge 21 luglio 1965, n. 903, art. 22, il quale non richiede , quale requisito per ottenere la pensione di reversibilità, la vivenza a carico al momento del decesso del coniuge e lo stato di bisogno, ma unicamente l’esistenza del rapporto coniugale col coniuge defunto pensionato o assicurato.
In definitiva, nella legge citata , la ratio della tutela previdenziale è rappresentata dall’intento di porre il coniuge superstite al riparo dall’eventualità dello stato di bisogno, senza che tale stato di bisogno divenga (anche per il coniuge separato per colpa o con addebito) concreto presupposto e condizione della tutela medesima.”
ASSEGNO DI MANTENIMENTO – DIVORZIO – NUOVA CONVIVENZA
Corte di Cassazione, sezione prima civile – Ordinanza del 28 febbraio 2019, n.5974
La Corte di Cassazione conferma nuovamente l’orientamento degli ultimi anni in materia di assegno di mantenimento e di nuova convivenza.
Alcuni autori sostenevano che il diritto entrasse in uno stato di quiescenza, ma la Suprema Corte ha ribadito nuovamente che il diritto all’assegno di mantenimento deve invece ritenersi definitivamente escluso.
L’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza ma resta definitivamente escluso.
ASSEGNO DI MANTENIMENTO – DIVORZIO – NUOVA CONVIVENZA
Cosrte di Cassazione Civile sesta sezione  – Ordinanza N. 406/2019 depositata 10 gennaio 2019
“L’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge , sicché il relativo diritto resta definitivamente escluso (Cass. Civ. 6855/2015, 2466/2016)”

Locazioni

LOCAZIONI – RIPARAZIONI E MANUTENZIONE – SPESE
Nel corso di un rapporto di locazione può capitare che il bene locato necessiti di manutenzione o di alcune riparazioni (anche per quanto riguarda eventuali arredi ed elettrodomestici presenti). A chi competono le relative spese ?
La risposta al predetto quesito ci viene fornita dalla lettura degli artt. 1576, 1590 e 1609 c.c..
Art. 1576 codice civile : “Il locatore deve eseguire, durante la locazione , tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore.
Se si tratta di cose mobili, le spese di conservazione e di ordinaria manutenzione sono, salvo patto contrario, a carico del conduttore.”
Art. 1590 :”Il conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto. In mancanza di descrizione, si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione.
Il conduttore non risponde del perimento o del deterioramento dovuti a vetustà. Le cose mobili si devono restituire nel luogo dove sono state consegnate.”
Art. 1609 : ” Le riparazioni di piccola manutenzione, che a norma dell’art. 1576 devono essere eseguite dall’inquilino a sue spese, sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall’uso , e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito. Le suddette riparazioni , in mancanza di patto, sono determinate dagli usi locali:”

Amministratore di sostegno

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO COS’E’? (IN BREVE)
L’amministrazione di sostegno e’ un recente istituto (L. n.6 del 9 gennaio 2004), nato per fornire uno strumento di tutela per i soggetti con patologie che li rendono, in via permanente o semplicemente temporanea, invalidi (parzialmente o totalmente) e non in grado di badare a se stessi e ai loro interessi, anche patrimoniali: anziani, disabili fisici o psichici, malati gravi e terminali, soggetti dediti al gioco d’azzardo , persone colpite da ictus, ecc.
E’ quindi un istituto che mira a proteggere tutte quelle persone che, per infermità o menomazioni fisiche o psichiche,anche parziali o temporanee, hanno una ridotta autonomia nella loro vita quotidiana.
Alle persone disabili, quindi, sono riconosciute delle misure di protezione flessibili, adattabili nel tempo alle diverse e svariate esigenze, in modo tale da consentire una protezione del soggetto debole, senza mai giungere però ad una totale esclusione della sua capacita’ di agire.
CHI PUO’ FARE L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO E CHI LO NOMINA?
L’amministratore di sostegno viene nominato dal Giudice Tutelare ed e’ scelto preferibilmente nello stesso ambito familiare dell’assistito, secondo requisiti d’idoneità’ ritenuti dallo stesso Giudice.
Possono essere nominati quale amministratore di sostegno: il coniuge (o la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio, il fratello o la sorella ed i parenti entro il quarto grado.
Sono questi, infatti, i soggetti legittimati ad agire, oppure (comunque) quelli che devono essere informati della pendenza del ricorso presentato dinanzi al Giudice.
Qualora tale scelta non sia possibile, per motivi di opportunità’ o altro, l’amministratore e’ nominato tenuto conto dell’esclusivo interesse del beneficiario fra altri soggetti (ES : avvocati, commercialisti, etc).
QUALI ATTI PUO’ COMPIERE L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO E PER QUALI E’ NECESSARIA L’AUTORIZZAZIONE DEL GIUDICE ?
Atti per i quali occorre sempre l’autorizzazione del Giudice:
– fare contratti di locazione d’immobili di durata superiore ai nove anni;
– acquistare beni, tranne i mobili necessari per l’economia domestica e per l’amministrazione del patrimonio;
– accettare eredita’ o rinunciarvi, accettare donazioni o legati;
– riscuotere capitali, consentire alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di pegni, assumere obbligazioni;
– promuovere giudizi, salvo che si tratti di denunzie di nuova opera o di danno temuto, di azioni possessorie o di sfratto e di azioni per riscuotere frutti o per ottenere provvedimenti conservativi.
Atti per i quali è richiesta l’autorizzazione del Tribunale, su parere del Giudice Tutelare :
– costituire pegni o ipoteche;
– procedere a divisione o promuovere i relativi giudizi;
– alienare beni, eccettuati frutti e mobili soggetti a facile deterioramento;
Quando nel dare l’autorizzazione il Tribunale non ha stabilito il modo di erogazione o di reimpiego del prezzo, lo stabilisce il giudice tutelare.
– fare compromessi e transazioni o accettare concordati.
Gli atti compiuti senza osservare le norme dei precedenti articoli possono essere annullati su istanza del tutore o del minore o dei suoi eredi o aventi causa.

Diritto civile e bancario

CONTO CORRENTE COINTESTATO
Cassazione Civile, Sez. II, 29 aprile 2019, n. 11375
La cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto (art.1854 c.c.) sia nei confronti dei terzi, che nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto (art.1298, secondo comma, c.c.), ma tale presunzione dà luogo soltanto all’inversione dell’onere probatorio, e può essere superata attraverso presunzioni semplici -purché gravi, precise e concordanti- dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa.
RESPONSABILITA’ DEL VENDITORE/COSTRUTTORE – 1669 c.c.
Corte di Cassazione, seconda sezione civile, Ordinanza n. 4055 del 20 febbraio 2018
“L’art. 1669 cod. civ. trova applicazione, oltre che nei casi in cui il venditore abbia provveduto alla costruzione con propria gestione di uomini e mezzi, anche nelle ipotesi in cui, pur avendo utilizzato l’opera di soggetti estranei, la costruzione sia, comunque, a lui riferibile in tutto o in parte per avere ad essa partecipato in posizione di autonomia decisionale, mantenendo il potere di coordinare lo svolgimento dell’altrui attività o di impartire direttive o di sorveglianza, sempre che la rovina o i difetti dell’opera siano riconducibili all’attività da lui riservatasi (Cass. n. 16202 del 2007). Con l’ulteriore specificazione che chi abbia deciso di far costruire un immobile da destinare alla successiva vendita (intera o frazionata) a terzi, e che per far questo appalti l’opera ad un diverso soggetto (impresa edile) è tenuto alla garanzia prevista dall’art. 1669 cod. civ.”.

Diritto processuale

DECRETO INGIUNTIVO – INCOMPETENZA PER TERRITORIO – OPPOSIZIONE – SPESE
Sentenza dell’8.4.2021 Tribunale di Padova 
Nel caso di incompetenza del Giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo, il Giudice del relativo processo di opposizione, nell’esercizio della propria competenza funzionale ed inderogabile sull’opposizione, deve dichiarare l’incompetenza del Giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo e, conseguentemente, la nullità dello stesso decreto ingiuntivo.
La causa di opposizione va pertanto definita con sentenza che dichiara l’incompetenza e la nullità del decreto ingiuntivo opposto.
Insegna Cass. 21/08/2012 n. 14594 che “…il provvedimento con cui il Giudice, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, dichiara la carenza di competenza dell’autorità giudiziaria che emise il decreto in via monitoria, non è una decisione soltanto sulla incompetenza, ma presenta un duplice contenuto: di accoglimento in rito dell’opposizione per incompetenza e dichiarativo della nullità del decreto”.
Pertanto, in accoglimento della domanda proposta da parte attrice opponente dev’essere dichiarata l’incompetenza per territorio del Tribunale di Padova ad emettere il decreto ingiuntivo opposto che, per l’effetto, deve essere dichiarato nullo e revocato.
Né può argomentarsi che il Tribunale di Milano, la cui sentenza era oggetto della pronuncia della Suprema Corte su citata, si era espresso con sentenza “nella resistenza dell’opposta” all’eccezione sollevata dall’opponente; ciò non toglie che la pronuncia, anche nel caso di domanda dichiarativa dell’incompetenza con adesione dell’altra parte, debba rivestire la forma della sentenza, come considerato in diritto dalla stessa pronuncia, che riguarda proprio la fattispecie particolare della dichiarazione d’incompetenza per territorio del Giudice del monitorio e non del Giudice della causa di opposizione.
Osserva il Tribunale adito che all’applicazione, nel caso di specie, dell’art. 38, 2° comma, cpc è di ostacolo la stessa dizione della norma, la quale prevede che “quando le parti costituite aderiscono all’indicazione del Giudice competente per territorio, la competenza del giudice indicato rimane ferma se la causa è riassunta entro tre mesi dalla cancellazione della stessa dal ruolo”, con ciò prevedendo non la definizione del processo ma la semplice traslazione della causa dinanzi al giudice competente, situazione che, per gli anzidetti motivi, non è aderente all’ipotesi in esame nella quale si ha la definizione del procedimento instaurato con il ricorso per ingiunzione che non potrebbe proseguire dinanzi ad altro giudice, incompetente ex art. 645 cpc.
Ritiene questo Tribunale pertanto che la definizione della causa dinanzi a sè debba rivestire la forma di sentenza, non potendo concludersi il giudizio con ordinanza e semplice cancellazione della causa dal ruolo.
La controversia, instaurata a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo relativamente alla cognizione ordinaria sulla pretesa del creditore e sulle altre domande eventualmente introdotte rimane invece aperta: sulla stessa non si è avuta discussione e non si ha, con la presente sentenza, alcuna pronuncia sul merito poiché il Giudice adito, si ripete, è competente funzionalmente sull’opposizione, ma non è competente sul merito.
Essa potrà essere decisa dal Giudice che entrambe le parti ritengono competente.
Può dirsi, pertanto, che nella particolare fattispecie di incompetenza territoriale del giudice del decreto ingiuntivo la causa di opposizione strettamente considerata si scinde da quella relativa al merito, ovvero alla pretesa creditoria che si intendeva far valere con il ricorso monitorio, e solo per quest’ultima la competenza del giudice indicato rimane ferma se la causa è riassunta nel termine di tre mesi dalla pronuncia.
Dunque, da un lato non trova applicazione la norma di cui all’art. 38, 2° comma, cpc nella parte in cui prevede l’ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo, dall’altro la stessa norma va applicata con riferimento alla disciplina delle spese del giudizio di opposizione.
Si osserva infatti che l’adesione della parte all’eccezione di incompetenza territoriale proposta dalla controparte comporta l’esclusione di ogni potere del giudice adito di decidere sulla competenza e conseguentemente di pronunciare sulle spese processuali relative alla fase svoltasi davanti a lui, dovendo provvedervi il giudice al quale è rimessa la causa (Cass. civ. Sez. 3, 20 marzo 2006 n. 6106).
Infatti, “Le ragioni per emettere condanna al pagamento delle spese processuali consistono nel carattere definitivo della decisione giudiziale e nella soccombenza di una delle parti sulla questione decisa (cfr. sul tema, Cass. civ. 8 luglio 1980 n. 4345)”: presupposti entrambi che non ricorrono nel caso in esame, come insegna la sentenza della Suprema Corte 08/11/2013, n. 25180 (che riprende Cass. 20/03/2006 n. 6106).
Il giudice della riassunzione deciderà il merito della controversia e provvederà sulle relative spese, tenuto conto dell’esito complessivo della lite e dell’intero svolgimento delle vicende processuali, ivi incluse le attività svolte dalle parti davanti al giudice incompetente.
Pur non aderendo alla tesi dal Tribunale di Reggio Emilia, citato dall’opposta, esposta nell’ordinanza del 21.10.2020, per la forma assunta dal provvedimento quale ordinanza anziché sentenza, se ne condividono le motivazioni in ordine alla mancata pronuncia sulle spese di causa.
Per le considerazioni svolte il decreto ingiuntivo opposto – in quanto emesso da Giudice incompetente – deve essere dichiarato nullo e revocato.
Nulla in punto spese per le ragioni anzidette.

Diritto sportivo

VINCOLO SPORTIVO E DOPPIO TESSERAMENTO NEL CALCIO A 11 E CALCIO A 5

Il Consiglio Federale della FIGC ha annunciato in data 16 marzo 2022 che, a decorrere dal 1 luglio 2022, sarà possibile il doppio tesseramento calcio a 11 – calcio a 5.

In conformità a quanto già previsto dall’art. 7 del “FIFA regulation status and transfer of players”, verranno modificate pertanto le NOIF e quindi dalla prossima stagione agonistica (2022-23)  saranno previsti due status distinti : quello di giocatore di calcio a 11 e quello di giocatore di calcio a 5.

In attesa di leggere il testo della nuova normativa si può già segnalare come è evidente che dovrà nascere un nuovo archivio dei tesserati calcio a 5 e verranno creati due distinti “curriculum”, con la particolarità che un giocatore potrà essere contemporaneamente tesserato per due distinte società , una per il calcio a 11 ed una per il calcio a 5.

Studio legale avv. Lodovico Lamberti Zanardi

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